La metropolitana di New York
Cosa fare in un giorno a New York
Un teatro sotterraneo
La metropolitana di New York ha un fascino tutto suo. Per mille motivi.
È un teatro sotterraneo, ad esempio. Se ne vedono di cose belle lì.
Potresti passarci ore ed ore, a girare, guardare la gente e goderti quegli spettacoli, gratuiti.
I giovani studenti delle scuole artistiche si esibiscono nel tempo libero per racimolare qualche dollaro da mettere da parte per pagare la scuola; le band cercano pubblico per farsi conoscere e magari per donare i loro dischi – autonomamente incisi – in cambio di un’offerta libera.
Quando li vedi suonare e cantare, lo spettacolo diventa qualcosa di esaltante. Arriva un signore, si accorge che la band suona bene e la musica gli piace e decide di mettersi a ballare. Mentre balla adocchia una signora nel pubblico e la invita a ballare. E così, iniziano a ballare. In perfetta sintonia. Come se ballassero insieme da sempre. Come se non avessero fatto altro nella loro vita, che ballare, insieme.
È un teatro la metro di New York. Un gran bel teatro. E il bello è che ci puoi stare quanto ti pare, che non paghi il biglietto.
È il luogo dove il mondo si incontra. C’è una viavai di gente di ogni dove. Tutti si sorridono, nessuno cammina a testa bassa.
È un buon inizio giornata, per chi è diretto a lavoro. I bambini e i ragazzi che vanno a scuola hanno la loro allegra routine quotidiana. Chi si è alzato di malumore, saprà come schernire la tristezza e i cattivi pensieri.
Lì sotto è vita. È un meccanismo inarrestabile. Un flusso continuo, al centro del mondo.
Mi sentivo libera a New York. Avevo addosso quella sensazione di leggerezza, di pace interiore. Mi sentivo a casa. Più la esploravo e più sentivo di essere nel posto giusto. Nel posto in cui volevo essere.
Ho amato la gente a New York. Si, strano, ho amato la gente. Non ho amato gli americani, ho amato la gente. Ho incontrato pochi americani a New York. Ho incontrato gente di tutto il mondo.
Le conoscenze casuali nella metro di New York
A New York ci vive gente di tutto il mondo. È quel suo essere multietnica che la rende così entusiasmante.
Una mattina in metro abbiamo conosciuto Gjelbërim, un uomo albanese. Emigrato molti anni prima a New York per sfuggire alla povertà della sua Albania, per cercare fortuna, per darsi la chance di un futuro migliore. Ed è ciò che ha avuto dalla grande Culla dei Sogni. Ha studiato inglese e ora lo insegna. Si, un albanese che insegna inglese a New York.
Ecco, quando sentivo queste storie, quando incontravo questa gente… “è qui che voglio vivere”. In un posto così. In un posto in cui si è liberi di sognare ed è lecito credere. Credere in qualcosa. Credere nella convivenza. Nella coesistenza di popoli ed etnie diverse. Credere che non esistano più distinzioni, discriminazioni. Credere che qualcosa di meglio, al mondo, esista.
Xenia, invece, non sappiamo da dove provenisse né cosa facesse nella vita. Era lì, seduta per terra, appoggiata a quel pianoforte che – proprio non lo so come facesse a portarselo in giro – stava suonando Andrew. Lui suonava, lei scriveva poesie. Aveva degli occhi impressionanti, Xenia: di un azzurro così intenso, penetranti. E sempre, sempre quel sorriso. Fisso. Non ha mai cambiato espressione. Chissà a cosa pensava… chissà cosa scriveva.
Beh, abbiamo subito pensato che Xenia e Andrew fossero una coppia. Lui cantava rivolgendosi a lei, lei gli sorrideva. Si scambiavano di tanto in tanto sguardi d’intesa.
Poi, è arrivata la metro. Xenia si è alzata ed è andata via. Mentre Andrew continuava a suonare e cantare.
Se passate da New York, o da qualsiasi città del mondo, fateci caso alla metropolitana. Soffermatevi qualche secondo in più, guardatevi intorno.
Guardate. Osservate.
La metropolitana è un luogo di transito.
C’è tutto il mondo di passaggio, lì sotto.
Vi lascio con un piccolo estratto di quotidianità della metro newyorkese
Non è il massimo, ma rende in piccola parte l’idea.
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